Cosa rende Knight diverso dagli altri critici d’arte? La sua capacità di leggere un’opera o una mostra inserendola in un contesto culturale, politico e storico più ampio. Non si limita a giudicare forme e colori, ma racconta le storie dietro la creazione artistica

Christopher Knight si ritira. Dopo 36 anni come critico d’arte al Los Angeles Times e una carriera complessiva di circa 45 anni nel giornalismo culturale, l’ultimo giorno di lavoro di Knight come giornalista full‑time è stato il 28 novembre 2025. Una decisione che segna non solo la fine di una carriera personale straordinaria, ma anche un momento storico e carico di valore simbolico per la critica d’arte negli Stati Uniti, sempre più fragile e rarefatta.

In un’epoca moderna in cui le recensioni artistiche diventano spesso brevi post sui social media o articoli mordi e fuggi, la voce di Knight si è sempre contraddistinta per la sua grande profondità,  ottima memoria storica e perfetta analisi culturale, diventando nei decenni un vero e proprio punto di riferimento per collezionisti, curatori e appassionati. “La vita da giornalista quotidiano non faceva più parte dei miei piani” ha confessato, sottolineando però che continuerà a scrivere, seppur senza la pressione della routine quotidiana.

Dalla periferia alla capitale culturale

Nella sua ultima colonna pubblicata l’1 dicembre 2025, Knight ha raccontato la straordinaria evoluzione di Los Angeles da comunità artistica periferica a capitale mondiale dell’arte contemporanea. La svolta, secondo il critico, ha avuto inizio negli anni ’80 con il sostegno della Getty Foundation e la nascita del MOCA (Museum of Contemporary Art, Los Angeles). Ma più di tutto, ciò che ha trasformato la scena artistica locale è stato il radicamento degli artisti formatisi in California, che hanno scelto di restare a L.A. invece di trasferirsi a New York, alterando radicalmente la geografia della produzione artistica negli Stati Uniti.

Knight ha osservato come, nonostante fluttuazioni di mercato e crisi istituzionali, la città abbia creato un ecosistema solido di musei, spazi privati e fondazioni, gettando basi durature per la sua influenza globale. La sua scrittura, capace di unire osservazione critica e sensibilità storica, ha offerto ai lettori non solo recensioni ma anche strumenti per comprendere il contesto e il significato culturale delle opere.

La carriera di Knight in sintesi

  • 1972 — Laurea in “literary and visual art” al Hartwick College.
  • 1976 — Master in storia dell’arte alla State University of New York.
  • 1976–1979 — Curatore al Museum of Contemporary Art San Diego.
  • 1979–1980 — Responsabile comunicazione pubblica al LACMA.
  • 1980–1989 — Critico per il Los Angeles Herald Examiner.
  • 1989 — Approda al Los Angeles Times come critico d’arte.
  • 1997 — Vince il Frank Jewett Mather Award, primo giornalista in più di 25 anni a ricevere l’onorificenza.
  • 2020 — Riceve il Pulitzer Prize for Criticism e il Lifetime Achievement Award dalla Dorothea and Leo Rabkin Foundation.
  • 28 novembre 2025 — Ritiro dal ruolo di critico full-time.
  • 1 dicembre 2025 — Pubblica la sua ultima colonna, bilanciando mezzo secolo di osservazioni sulla scena artistica di Los Angeles.

Knight ha scritto più di 2.000 articoli durante la carriera, molti dei quali esploravano intersezioni tra arte, politica, cultura urbana e dinamiche sociali. Non si è mai limitato a giudizi estetici: la sua scrittura stimolava il dibattito, influenzava le scelte di collezionisti e curatori e contribuiva alla costruzione dell’identità artistica di Los Angeles.

Il suo lavoro ha attraversato decenni di trasformazioni culturali e tecnologiche: dall’era della stampa al digitale, dal predominio di New York a un panorama artistico più decentralizzato, Knight è stato un osservatore attento e un interprete lucido dei mutamenti. La sua influenza si è estesa anche attraverso libri, documentari e interventi radiofonici, portando la critica d’arte a un pubblico più ampio.

Nel corso degli anni, Knight è stato famoso soprattutto per la chiarezza e la franchezza con cui comunicava le sue opinioni. Colleghi e artisti raccontano di incontri in cui riusciva a sintetizzare in poche righe la complessità di una mostra o di un museo, senza scadere nel superficiale o nell’accademico.

L’arte è un dialogo”, ha spesso sottolineato. Non sorprende quindi che il suo addio provochi domande sul futuro della critica tradizionale: chi raccoglierà il testimone in un panorama editoriale sempre più frammentato e veloce?

Christopher Knight lascia un’eredità che va oltre le pagine di giornale. La sua carriera racconta non solo la storia di un critico, ma anche l’evoluzione di un’intera città, dei suoi musei, dei suoi spazi e dei suoi artisti. E lascia ai suoi successori un chiaro invito a riflettere su cosa significhi fare critica oggi e su quanto una voce competente, paziente e appassionata possa ancora trasformare il modo in cui guardiamo l’arte. Per i più curiosi, questo è il suo ultimo articolo, datato 1 dicembre 2025.

Un ritiro che segna la fine di un’era

Quando si parla di Christopher Knight, non si può fare a meno di sottolineare quanto fosse unico nel panorama dei critici d’arte americani. Una collega del Los Angeles Times lo descrive come una vera enciclopedia vivente: ogni sua colonna non è mai solo un giudizio estetico, ma un intreccio sapiente di storia, cultura, folklore, psicologia e dinamiche civiche. Leggere un suo articolo significa guardare un’opera o una mostra attraverso una lente molteplice, in cui ogni dettaglio si collega a un quadro più ampio, come se collegasse i punti tra passato e presente, tra città e museo, tra artista e società.

Christopher Knight accepts the 2020 Pulitzer Prize for Criticism from Columbia University President Lee Bollinger. (Jose Lopez/The Pulitzer Prizes)

Christopher Knight accepts the 2020 Pulitzer Prize for Criticism from Columbia University President Lee Bollinger. (Jose Lopez/The Pulitzer Prizes)

Il lavoro che gli è valso il Pulitzer Prize for Criticism è un esempio perfetto di questa profondità. Cinque dei suoi articoli più importanti riguardavano il piano di espansione del Los Angeles County Museum of Art, con il progetto dell’architetto Peter Zumthor per le David Geffen Galleries, un investimento da 720 milioni di dollari. Tra questi, l’articolo “An open letter to LACMA architect Peter Zumthor: Stop dissing LA’s art” ha dimostrato quanto la critica di Knight potesse essere incisiva, capace non solo di analizzare l’estetica, ma di influenzare il dibattito pubblico su come l’arte e la città si relazionano. Non erano recensioni banali: erano interventi civici e culturali, pensati per far riflettere e provocare, non solo per valutare.

Oltre alla scrittura giornalistica, Knight ha anche raccolto la sua voce critica in due libri fondamentali: Last Chance for Eden: Selected Art Criticism, 1979–1994 e Art of the Sixties and Seventies: The Panza Collection. Libri che non sono semplici antologie di articoli, ma veri e propri strumenti per comprendere decenni di storia artistica americana e la sua personale visione critica.

Il suo ritiro non è quindi una semplice uscita di scena: segna la fine di un’era. I critici “full-time” come lui, con conoscenza enciclopedica, capacità di sintesi e influenza sulla città e sul dibattito pubblico, sono ormai rari. La sua partenza lascia un vuoto tangibile, non solo per il Los Angeles Times, ma per l’intero tessuto culturale di Los Angeles e, più in generale, per la critica d’arte tradizionale negli Stati Uniti. In altre parole, non stiamo parlando solo di un giornalista che va in pensione, ma di un modello di critica destinato a diventare un esempio sempre più difficile da replicare.


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