L’esperimento di Nottingham, dove la New Art Exchange ritiene di essere la prima istituzione culturale al mondo a cedere la leadership permanente alla comunità
Nel quartiere multiculturale di Hyson Green, a Nottingham, la New Art Exchange (NAE) ha dato vita a un progetto che ridefinisce il concetto stesso di governance culturale. Per la prima volta a livello internazionale, una galleria d’arte ha scelto di affidare la propria direzione strategica e artistica a un’assemblea permanente di cittadini, un gesto che trasforma radicalmente il modo in cui un’istituzione culturale può essere gestita e percepita dal pubblico.
La NAE, riconosciuta come la più grande galleria britannica dedicata alla promozione di artisti provenienti dall’Africa, dai Caraibi e dall’Asia meridionale, ha deciso di superare la tradizionale separazione tra istituzione e comunità, evolvendosi in un centro culturale condiviso dove il pubblico non è più spettatore, ma parte attiva del processo decisionale.
La “VOICE Assembly”: un modello di democrazia artistica
La leadership della galleria è oggi nelle mani della VOICE Assembly, un gruppo composto da circa quaranta abitanti di Hyson Green e dei quartieri limitrofi, selezionati in modo casuale per rappresentare l’ampia varietà linguistica e culturale del territorio, dove si contano oltre cinquanta lingue diverse.
Il ruolo dell’assemblea è ampio e concreto: stabilisce la programmazione artistica, indica quali mostre ospitare, decide come investire i fondi e contribuisce alla definizione dell’identità stessa della galleria. Dall’inizio del progetto, i membri hanno gestito risorse per 285.000 sterline, ridistribuite in iniziative e interventi approvati collettivamente.
Il modello organizzativo della NAE si regge su tre strutture interconnesse:
- un Executive Team, responsabile della qualità e dell’innovazione artistica;
- un Consiglio di Amministrazione, garante della sostenibilità economica;
- l’assemblea cittadina, che rappresenta la voce del territorio e ne guida la rilevanza sociale.
Questa tripartizione consente alla galleria di unire competenza, responsabilità e partecipazione, creando un equilibrio inedito tra professionalità e cittadinanza attiva.
La New Art Exchange (NAE) è la più grande galleria del Regno Unito dedicata alle arti visive contemporanee provenienti dalle comunità appartenenti alla cosiddetta Global Ethnic Majority. È la prima istituzione culturale al mondo ad aver integrato in modo permanente un’assemblea cittadina, denominata VOICE Assembly, come parte stabile della propria struttura direttiva.
La sua missione è promuovere il riconoscimento, la crescita e la valorizzazione dei talenti provenienti da contesti etnici globali, favorendo inclusione ed equità all’interno delle industrie creative. Questo obiettivo viene perseguito attraverso un modello di sviluppo articolato in cinque fasi — Connect, Create, Cultivate, Transform, Exchange — finalizzato a rinnovare la leadership e la rappresentanza nel settore culturale.

L’esperienza della New Art Exchange dimostra che l’arte può diventare un terreno di democrazia concreta, dove la comunità non è un pubblico da raggiungere, ma un soggetto attivo che orienta la visione, le priorità e le scelte operative.
Dalla teoria alla pratica: risultati visibili nella comunità
Le decisioni prese dal gruppo civico hanno già prodotto trasformazioni significative. Un caso emblematico è la rimozione della “street gallery” esterna, inizialmente pensata per attrarre i passanti: gli abitanti l’hanno giudicata fredda e poco accogliente, preferendo investire nella riqualificazione del caffè interno per farne un punto d’incontro aperto e inclusivo.
Inoltre, per rispondere alla mancanza di luoghi di ritrovo nel quartiere, la NAE ha introdotto serate dedicate alla poesia, set di DJ e incontri sociali, che hanno riscosso immediatamente grande successo, trasformando la galleria in uno spazio vissuto anche al di fuori degli orari canonici delle mostre.
I numeri confermano l’impatto positivo di questo nuovo approccio: la partecipazione complessiva è cresciuta del 22%, mentre il numero di visitatori appartenenti a minoranze etniche è aumentato del 48%, un dato che testimonia la capacità dell’istituzione di parlare davvero alla pluralità dei suoi cittadini.
Le ragioni e le sfide di una rivoluzione culturale
Secondo il direttore artistico e amministratore delegato Saad Eddine Said, l’iniziativa nasce dalla convinzione che “senza il contributo diretto dei cittadini, qualsiasi organizzazione culturale finirebbe per diventare mediocre”. Egli stesso riconosce che il percorso è stato oneroso e complesso, richiedendo risorse, tempo e un profondo cambio di mentalità da parte di tutto lo staff.
Non sono mancati dubbi e diffidenze, sia all’interno che all’esterno della comunità. Alcuni abitanti, inizialmente scettici, temevano che si trattasse di un semplice esercizio di facciata, ma col tempo molti hanno riconosciuto la concretezza dei risultati: “Pensavo che restasse tutto sulla carta, invece hanno davvero fatto ciò che avevamo proposto”, ha commentato uno dei partecipanti.
L’esperienza dimostra che il coinvolgimento reale richiede fiducia e pazienza. Non si tratta solo di ascoltare, ma di cedere potere decisionale, un processo che sfida le consuetudini istituzionali e può essere difficile da replicare in contesti privi delle stesse condizioni sociali di Hyson Green.
Un laboratorio per il futuro dell’arte pubblica
Il modello della New Art Exchange si inserisce in un movimento più ampio che vede sempre più istituzioni culturali sperimentare forme di governance partecipativa. Mentre molte di queste iniziative hanno un carattere consultivo o temporaneo, la NAE rappresenta la prima realtà a rendere permanente la guida dei cittadini.
Esempi affini si trovano nella National Gallery di Londra, che ha avviato un’assemblea nazionale di cinquanta persone con compiti di indirizzo pluriennale, e nel Birmingham Museum & Art Gallery, dove una “giuria civica” ha proposto nuove politiche di accessibilità e orari più flessibili. Nessuna di queste esperienze ha ancora raggiunto il livello di autonomia e continuità garantito dalla VOICE Assembly di Nottingham.
Secondo Said, l’esperimento costituisce una base replicabile per musei e gallerie che desiderano rinnovare la propria relazione con il territorio: “Sono i cittadini a mantenerci pertinenti”, afferma. Secondo la nostra personale opinione, pur tra difficoltà e interrogativi il progetto di Nottingham potrebbe segnare una svolta storica nel modo di intendere la governance culturale. Se altri istituti seguiranno questa direzione, l’arte del futuro potrebbe non limitarsi più a essere osservata, ma co-creata, restituendo alla cultura la sua funzione più autentica: unire, ascoltare e trasformare insieme.
© credits www.theguardian.com





