Cosa ci ha lasciato l’edizione 2025 della Biennale Architettura a Venezia: 298.000 visitatori, progetti innovativi su intelligenza naturale, artificiale e collettiva, impegno sociale e sostenibilità ambientale
La Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia ha salutato il pubblico con numeri che raramente si vedono nel panorama culturale europeo. L’appuntamento – visionario e immersivo, più che mai – curato da Carlo Ratti, dedicato al rapporto tra intelligenza naturale, artificiale e collettiva, ha raggiunto un traguardo che segna un cambio di passo nella partecipazione del pubblico contemporaneo: quasi trecentomila biglietti acquistati nel solo periodo di apertura e un aumento dell’interesse già nei giorni preliminari, durante i quali sono state registrate oltre diciassettemila presenze.
Questi risultati confermano la vitalità di una manifestazione capace di restare un riferimento globale, nonostante le sfide che attraversano il nostro tempo.

Interno dell’Arsenale – Installazioni sofisticate tra pilastri e display luminosi, in uno spazio che invita all’esplorazione dei progetti espositivi
Un pubblico equilibrato, giovane e profondamente eterogeneo
L’analisi dei visitatori racconta un evento capace di parlare tanto agli italiani quanto agli stranieri, con una ripartizione perfettamente in equilibrio tra chi arriva da fuori confine e chi giunge dal territorio nazionale. A colpire è la forte adesione delle fasce giovanili, con oltre ottantaquattromila persone sotto i ventisei anni che hanno scelto di vivere l’esperienza espositiva. Una percentuale così elevata evidenzia un desiderio crescente di comprendere come il progetto architettonico possa incidere sulle trasformazioni ambientali e sociali.
Accanto al pubblico generalista si distingue l’impegno di chi opera nell’ambito dell’inclusione. Il programma dedicato alle cosiddette Categorie Fragili ha coinvolto quasi mille partecipanti, distribuiti in settantuno gruppi, segnando un passo ulteriore verso un’idea di cultura che non lascia fuori nessuno. L’attenzione verso le fragilità non è stata percepita come un elemento accessorio (come spesso accade), ma come una struttura portante dell’intera manifestazione. Chi ha partecipato ai programmi dedicati ha spesso osservato che la Biennale 2025 non si è limitata a offrire accessi agevolati o percorsi guidati, ma ha cercato di fare un passo ulteriore: considerare la diversità come un criterio progettuale. In molte sezioni emergeva chiaramente l’idea che l’inclusione non è solo una questione di equità, ma una risorsa creativa capace di allargare lo sguardo su come gli spazi vengono utilizzati e percepiti. È un passaggio che cambia la prospettiva: si progetta per tutti non per obbligo, ma perché produce soluzioni più intelligenti e più umane.
Molti visitatori hanno raccontato che l’edizione di quest’anno non dava l’impressione di muoversi tra padiglioni, ma di attraversare una serie di scenari in divenire. Questa percezione collettiva deriva, con ogni probabilità, dalla scelta curatoriale di far dialogare contributi molto diversi tra loro attraverso il tema dell’intelligenza condivisa. Non si trattava di un percorso lineare, bensì di un sistema aperto dove ogni installazione rimandava all’idea che l’architettura rigenerativa, oggi, non possa più essere pensata come gesto isolato. L’impressione generale era che lo spazio espositivo diventasse un organismo vivo, un mosaico di intuizioni che chiedeva al pubblico di sostare, confrontarsi, riconsiderare il proprio modo di leggere l’ambiente costruito.
Architettura come pratica sociale
La Biennale ha ampliato la propria natura di piattaforma culturale includendo percorsi di reintegrazione dedicati a persone detenute. Tre individui provenienti dagli istituti penitenziari di Venezia, Padova e Treviso hanno collaborato alle attività lavorative legate all’esposizione, all’interno di un progetto organizzato con l’associazione Seconda Chance e con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Una scelta che restituisce valore al concetto di architettura intesa come strumento utile alla comunità, non come gesto isolato.
L’idea guida proposta dal curatore invita a guardare l’intelligenza in tutte le sue manifestazioni come un alleato indispensabile per affrontare questioni urgenti come la fragilità climatica, la rigenerazione delle aree urbane e la necessità di ripensare pratiche ormai superate. Secondo Ratti, non è sufficiente mostrare progetti ben eseguiti, ma serve offrire contesti nei quali chi osserva possa comprendere come le discipline creative possano influenzare la vita quotidiana e le scelte collettive.
Questa edizione, quindi, non si limita a presentare opere, ma cerca di attivare forme di apprendimento condiviso.

Installazione del Manifesto Economia Circolare – Un padiglione espositivo che riflette l’impegno della Biennale per sostenibilità, circularità e progettazione rigenerativa
Riconoscimenti che celebrano pensiero e memoria
La cerimonia conclusiva ha ricordato due figure che hanno lasciato un’impronta profonda nel dibattito culturale. Il Leone d’Oro alla Carriera è stato assegnato alla filosofa statunitense Donna Haraway, mentre il riconoscimento alla memoria ha onorato il contributo dell’architetto e designer Italo Rota, scomparso nell’aprile dell’anno precedente. Parte integrante dell’evento, ovviamente, ma sempre toccante e coinvolgente.
La mostra ha ospitato settecentocinquantotto professionisti invitati a contribuire al racconto collettivo attraverso trecentotre progetti, affiancati da due interventi speciali. Il programma Gens Public ha dato vita a una costellazione di attività che comprende workshop, conferenze e un ampio coinvolgimento di Paesi partecipanti, sessantasei in totale.
Sul fronte formativo, la manifestazione ha visto l’adesione di centosei università, trentaquattro delle quali italiane, con oltre seimila studenti che hanno preso parte alle Biennale Sessions. Le attività destinate alle scuole hanno raggiunto più di cinquantaduemila persone e migliaia di gruppi, mentre le visite guidate hanno registrato un aumento significativo rispetto agli anni precedenti.
Un ecosistema digitale in forte espansione
L’interesse verso la mostra non si è limitato agli spazi fisici. Il sito ufficiale ha superato il milione di utenti attivi durante l’intero periodo espositivo e ha totalizzato milioni di visite e interazioni. La presenza social ha ampliato ulteriormente la portata, raggiungendo centinaia di milioni di visualizzazioni e un numero elevato di interazioni da parte degli utenti.
Il settore editoriale della Biennale ha confermato la solidità della propria offerta con migliaia di copie vendute, tra cataloghi e guide in doppia lingua.

Veduta dell’Arsenale e delle Gagiandre – Lo scenario lagunare con gli edifici storici dell’Arsenale che dialogano con il paesaggio e l’innovazione architettonica
L’istituzione veneziana ha proseguito il percorso avviato verso la neutralità climatica. Dopo la certificazione ottenuta nel 2022, ha puntato all’adozione dello standard ISO dedicato alla misurazione dell’impronta carbonica. Le emissioni legate alla mobilità dei visitatori rappresentano la componente più critica, ma non hanno impedito la costruzione di una strategia fondata su circolarità e riduzione degli sprechi. Tra i commenti raccolti nei giorni finali, è ricorrente una consapevolezza: la sostenibilità dichiarata non basta più, ciò che viene osservato con attenzione è la sua realizzazione concreta. In questo senso, molti visitatori hanno riconosciuto alla Biennale un merito particolare: aver mostrato che anche un evento culturale di grandi dimensioni può assumersi la responsabilità di ridurre il proprio impatto e proporre modelli praticabili. L’interesse verso i protocolli adottati, dal contenimento delle emissioni al riuso dei materiali, è stato alto non per adesione ideologica ma per curiosità operativa. Si è avuta la sensazione che il pubblico cercasse strumenti, non slogan. E la mostra, almeno in parte, ha risposto con esempi tangibili che invitano a ripensare il rapporto tra cultura, ambiente e futuro.
Il Manifesto dell’Economia Circolare proposto da Carlo Ratti, in collaborazione con una sostanziale parte delle realtà attive nel campo della sostenibilità, indica un possibile scenario nel quale l’architettura non solo costruisce, ma si rigenera e genera. Tra una partecipazione di pubblico in crescita, una forte presenza giovanile, bella e pulsante da vedere e da condividere, con percorsi inclusivi e uno sforzo spiccatissimo verso la responsabilità ambientale, ciò che emerge è la volontà di utilizzare l’architettura come chiave di trasformazione culturale.
L’incremento dei biglietti venduti, insieme alla forte affluenza registrata durante le giornate preliminari e durante tutto l’arco della mostra, evidenzia un interesse in crescita rispetto alle edizioni più vicine, confermando Venezia come uno dei poli culturali più attrattivi a livello globale. Il pubblico si distribuisce in modo equilibrato tra visitatori italiani e provenienti dall’estero, dimostrando un richiamo trasversale capace di superare confini geografici e generare un flusso turistico qualificato.
Uno degli elementi che ha colpito maggiormente gli osservatori è stata la presenza massiccia di visitatori under 26, un’affluenza che non si limita a un dato quantitativo. La loro partecipazione suggerisce che i temi proposti — sostenibilità, nuove intelligenze, responsabilità collettiva — intercettano un’urgenza generazionale che non riguarda solo il mondo accademico. Molti giovani non arrivavano per vedere “grandi firme”, ma per capire come l’architettura possa avere un ruolo nel futuro che li riguarda direttamente. È un segnale che, se letto con attenzione, indica una trasformazione del pubblico culturale: più curioso, più preparato, più coinvolto nei processi e meno nelle celebrazioni.
Ampia anche la partecipazione del mondo educativo: rappresentanze di scuole, gruppi di studenti e di oltre cento atenei hanno contribuito a creare un ecosistema formativo che rafforza il ruolo della manifestazione come spazio di ricerca e aggiornamento professionale, oltre che didattico. L’integrazione di temi sociali, sviluppata attraverso programmi orientati al supporto delle fragilità e iniziative di reinserimento che coinvolgono persone detenute, amplia il raggio d’azione della Biennale trasformandola in un laboratorio di inclusione e sperimentazione civica. Sul fronte dei riconoscimenti, il Leone d’Oro alla Carriera conferito a Donna Haraway e il premio alla memoria dedicato a Italo Rota consolidano l’autorevolezza internazionale dell’evento, attribuendo valore a figure centrali nel dibattito contemporaneo sull’architettura e sulle sue intersezioni con società, tecnologia e cultura. Un successo preannunciato, certo, ma consolidato dai fatti.

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